mercoledì 30 aprile 2014

Un uomo da marciapiede

La recensione di Paola del film Gigolò per caso, mi ha fatto tornare alla mente il bellissimo film Un uomo da marciapiede, del 1969, dove, probabilmente per la prima volta, si affrontavano i temi della prostituzione maschile e dell'omosessualità, ma anche si parlava del degrado di metropoli come NewYork , dell'illusorietà del sogno americano e della solitudine umana, sia dei ricchi, che dei diseredati.





da :http://www.filmscoop.it/cgi-bin/recensioni/unuomodamarciapiede.asp



John Schlesinger, regista inglese di film che si possono annoverare ormai tra i classici, piccoli e grandi capolavori, come "Il maratoneta", "Domenica maledetta domenica", esce nel 1969, con questo bellissimo film tratto dal libro: "Cowboy di mezzanotte" di James Leo Herlihy. 






Joe Buck (Jon Voight) un ragazzo giovane ed attraente; tutto incomincia con la sua partenza: abito in pelle e frange, stivali con tacco, cappello, valigia foderata di vacca pezzata bianca e marrone, chewingum, aria spavalda e un lungo, lungo viaggio in pullman verso la Grande Mela. Una volta arrivato, l'idea è appunto di proporsi come stallone a donne ricche e sole, disposte a pagarlo. Ben presto si scontrerà con una dura realtà e niente andrà come lui sperava. Centrale, nella storia, è l'incontro con Rico (Dustin Hoffman, detto Sozzo), un piccolo ladruncolo italo-americano, un emarginato, claudicante ed affetto da tisi, con il quale Joe intraprenderà un percorso parallelo di perdizione e di redenzione che approderà ad un'amicizia forte e sincera.




Schlesinger punta sull'amicizia come leit motiv per un'accusa severa del sistema americano, mostrandoci la cruda disillusione delle sue false promesse, a quei tempi vera e propria fede per chi desiderava cambiare vita. Il sogno di Joe dapprima sbiadisce, fino a spegnersi del tutto a contatto con l'allucinante realtà dei sobborghi di New York, brutalmente raccontata per la prima volta in un film e a contatto con l'amico, riflesso di se stesso, simbolo di emarginazione e fallimento. La loro amicizia, nata per convenienza, si rafforza lungo il comune cammino che avrà un triste epilogo per uno di loro e l'acquisizione di una nuova consapevolezza per l'altro.




La prima parte del film è senz'altro la migliore; nella seconda si intuisce come andrà a finire e si cade nel sentimentalismo che comunque, di per sé, non è necessariamente negativo. "Un uomo da marciapiede" non è comunque un film commerciale: è duro e non cerca di raddolcire le situazioni più imbarazzanti. Schlesinger stesso affermò che: "Il mio film è un film sulla solitudine, non sul sesso. Quei due uomini, Rizzo detto Sozzo e Joe Buck, diventano persone, serie, pulite, quando si scoprono amici, in modo autentico".
Per quanto riguarda il sogno americano, la denuncia del regista è spietata: la determinazione ed un duro lavoro non sono sufficienti per ottenere il benessere, come ogni americano aveva sempre pensato.
L'amara realtà viene mostrata con un montaggio innovativo per l'epoca. Le sequenze molto veloci nella narrazione del presente sono rallentate dai flashback del passato di Joe. Nel corso del film non mancano brevissimi accenni storici dell'epoca attraverso un cartellone pubblicitario, immagini da un televisore che ci riportano immediatamente alla guerra in Vietnam, un telegiornale, visto in una decina di fotogrammi, su Kennedy.




Ritornando ai due protagonisti, nasce in loro, ad un certo punto della storia, il prendere coscienza della realtà; l'odio reciproco è vinto dall'amicizia, la povertà comune li unisce, la vita non è solo arricchimento a tutti i costi e che un sentimento caldo, quale l'affetto o la solidarietà, contano.Vi è uno stridente contrasto tra la vita colma di agiatezze e l'abbruttimento di chi è ai margini della società. Quello che, alla fine, si percepisce è che la vera negatività, la mancanza di valori appartengono di più ai newyorkesi "arrivati", sempre indifferenti nella loro malcelata ipocrisia, che ai nostri due protagonisti. Loro, al contrario saranno reietti, ma ancora capaci di redenzione e buoni sentimenti.
Dustin Hoffman offre un'interpretazione tra le migliori della sua carriera. Risulta repellente, appiccicaticcio, sozzo, appunto. Per essere il più credibile possibile nella parte dello zoppo, Hoffman camminò per mesi con una scarpa mezza piena di ghiaia, ma anche Jon Voight( per chi non lo sapesse è il padre di Angelina Jolie) non è da meno, offrendo un'interpretazione estremamente convincente: nel suo viso si leggono ingenuità, perplessità, desolazione.

Nella colonna sonora, una tra le più belle (se non la più bella in assoluto) nella storia del cinema, spicca "Everybody's Talkin'" di Fred Neil, cantata da Harry Nilsson.

Poichè io amo molto questa canzone molto triste, la voglio condividere.







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